I Diluvi Mesopotamici
Epopea di Gilgamesh
Atra-hasis
Zi-u-sud-rà



 

Doveroso iniziare da un sintetico quadro storico delle vicende che hanno interessato la fertile terra mesopotamica dagli albori dell'umanità fino al 1000 a.C.
In greco il nome Mesopotamia significa "tra due fiumi" e indica la regione dell'Asia compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, nella quale si svilupparono le civiltà sumera, assira e babilonese.
Le fertili pianure della Mesopotamia attrassero da sempre le popolazioni delle regioni vicine più povere e la sua storia è dunque fatta di migrazioni e invasioni.
Le precipitazioni sono scarse nella maggior parte del paese, ma il suolo, se irrigato con i canali, produce abbondanti raccolti. Entrambi i fiumi sono pescosi e nelle paludi meridionali vi sono uccelli selvatici.
La necessità di provvedere alla difesa e all'irrigazione spinse gli antichi popoli della Mesopotamia a progettare e costruire canali e insediamenti fortificati.
Tra il VI e il IV millennio a.C. questi ultimi crebbero divenendo città.
Il più antico centro urbano della regione fu probabilmente Eridu, ma il più importante fu Uruk (la biblica Erech) nel sud, dove sorgevano templi costruiti con mattoni d'argilla e decorati con sculture di pietra.
Lo sviluppo sociale stimolò anche l'invenzione di una forma di scrittura cuneiforme.

Questi primi centri urbani, sorti a nord dell'Eufrate, furono probabilmente Sumeri. Altri importanti insediamenti sumeri furono Kish, Larsa, Nippur e Ur.
Il nome Sumer risale probabilmente all'inizio del III millennio a.C.; la sua storia è stata ricostruita a partire da frammentarie iscrizioni in alfabeto cuneiforme rinvenute su tavolette d'argilla e da altre testimonianze archeologiche.
Il primo re sumero di cui si hanno notizie è Etana, re di Kish (2800 ca. a.C.), descritto in un documento di alcuni secoli dopo come "l'uomo che diede stabilità al paese".
Prima della metà del III millennio a.C., sotto la guida di Lugalanemundu di Adab (2525-2500 ca. a.C.), l'impero sumero si estendeva dai monti Zagros sino alla catena del Tauro e dal golfo Persico sino al mar Mediterraneo.

Verso il 2330 a.C. la regione fu conquistata dagli Accadi, popolazione semitica proveniente dalla Mesopotamia centrale, il cui re, Sargon I, chiamato il Grande (che regnò dal 2335 al 2279 ca. a.C.), fondò la dinastia di Akkad. La lingua accadica cominciò a sostituire il sumero.
La dinastia accadica durò per circa un secolo fino a quando, dopo che tribù dei Gutei provenienti dalle montagne orientali misero fine, verso il 2218 a.C., al suo dominio, lasciò il posto alla III dinastia di Ur che governò gran parte della Mesopotamia.
Invasori provenienti dal regno settentrionale di Elam distrussero la città di Ur attorno al 2000 a.C.: il frazionamento dell'impero si protrasse fin verso la metà del XVIII secolo, quando Hammurabi di Babilonia (1792-1750 a.C.) unificò di nuovo il paese, anche se solo per pochi anni alla fine del suo regno.
Intorno all'anno 1595 a.C. gli Ittiti, la nuova grande potenza che rivaleggiava anche con l'Egitto e l'Assiria saccheggiarono Babilonia, ma il controllo di questa città-stato e della regione della Mesopotamia meridionale venne ben presto preso dai Cassiti, sotto i quali conobbe grande splendore e prosperità.
Verso il 1350 a.C. fu il regno di Assiria ad affermarsi nella Mesopotamia settentrionale: le armate assire sconfissero i Mitanni di Assur, conquistarono Babilonia verso il 1225 a.C. e raggiunsero il Mediterraneo attorno al 1100 a.C.

Ma veniamo al personaggio più noto dei racconti mesopotamici riguardante il diluvio: Gilgamesh.
Sui libri di storia troviamo riportata con grande risalto l'opera di Hammurabi (il re babilonese vissuto tra il 1792 e il 1750 a. C. reso famoso dal suo codice di leggi), ma sicuramente l'opera di Gilgamesh non fu da meno, tanto che, nell'immaginario collettivo del tempo, fu elevato al rango di eroe.
Ciò che conosciamo di Gilgamesh è presto detto: è un re sumero vissuto nella città di Uruk sulle rive del fiume Eufrate (la zona geografica attualmente occupata dall'Iraq) in un'epoca solitamente identificata con il Terzo Periodo Protodinastico (tra il 2700 e il 2500 a. C.) anche se, come ho modo di precisare in altre pagine, questa collocazione lascia qualche perplessità.
Nella cultura mesopotamica Gilgamesh è senza dubbio l'Eroe per eccellenza, come risulta evidente dalle numerose riedizioni della sua Epopea, sopravvissuta praticamente indenne anche al cambio di linguaggio e di cultura, in grado di attraversare le varie dominazioni che si sono succedute in quell'area
L'Epopea di Gilgamesh è un poema epico assiro-babilonese, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla nel III-II millennio a.C. e prende nome dal protagonista, il re babilonese di Uruk (l'attuale Warka in Iraq), l'eroe che con il compagno Enkidu affronta avventure di ogni genere, alla ricerca del segreto dell'immortalità.
L'Epopea di Gilgamesh è l'opera più vasta finora ritrovata in Mesopotamia e ci è giunta in varie versioni e lingue: quella più lunga, in dodici canti, proviene dalla biblioteca di Assurbanipal (VII sec. a.C.).   Si conoscono inoltre traduzioni ittite e hurrite di alcune parti del poema.
Sintetizziamo al massimo la vicenda:

Il re Gilgamesh - personaggio inquieto e turbolento - opprime i suoi sudditi, gli abitanti di Uruk, che finiscono per lamentarsi con gli dei. Questi inviano allora la dea madre Aruru che crea con l'argilla Enkidu, un bruto coperto di peli.
Enkidu, che raffigura l'uomo innocente della pianura, è destinato a domare l'arrogante Gilgamesh e, dopo aver sostenuto con lui una lotta selvaggia,  diventa suo amico inseparabile e compagno di numerose imprese eroiche. Quando la dea dell'amore Ishtar si infatua di Gilgamesh, cercando di sedurlo, e l'eroe la rifiuta schernendola, Ishtar, offesa, comanda al dio del cielo Anu di inviare sulla terra il "Toro celeste". Questi massacra centinaia di guerrieri e devasta la città di Uruk, ma Gilgamesh ed Enkidu riescono a ucciderlo.
Rimasto solo, dopo la morte di Enkidu, voluta dagli dei, Gilgamesh decide di mettersi alla ricerca dell'immortalità e del solo uomo che sia riuscito a diventare immortale: Ut-napištim, l'eroe del diluvio.
Quando riesce ad incontrarlo, questi gli narra la storia del diluvio e gli rivela che in fondo al mare esiste la pianta dell'eterna giovinezza. Gilgamesh riesce a raggiungerla ma, sulla strada del ritorno, viene derubato dell'erba preziosa da un serpente.
Torna allora, stanco e deluso, a Uruk, dove terminerà i suoi giorni avendo ormai compreso che l'immortalità non spetta agli uomini ma appartiene solo agli dei: l'unica consolazione che gli resta è quella di contemplare le potenti mura della sua città.

L'edizione del poema di Gilgamesh che possediamo non va oltre l'VIII secolo a.C., ma le tradizioni orali che (come per il più antico poema di Atra-hasis) ne costituiscono la fonte primaria si possono far risalire al III millennio a.C., se non addirittura prima.
Il racconto più antico che possediamo (databile nel periodo medio-babilonese, tra il 1600 e il 1200 a.C.) è contenuto in 13 frammentarie linee di una tavoletta conservata a Philadelphia (University Museum - reperto CBM 13532).

[ ] … [ ] a te
[ ] renderò chiaro:
[un Diluvio] spazzerà via tutti gli uomini.
[quanto a te salverai la vi] ta prima che il Diluvio abbia inizio
[su tutte le cit] tà, per quante esse siano, porterò rovina,
                                                  distruzione, devastazione.
[ ] una grande nave costruisci:
[ ] fa' che la sua struttura sia tutta di canne;
[ ] che sia una nave maqurqurrum: "Salvezza di vita"
                                                              sia il suo nome.
[ ] con un resistente tetto ricoprila.
[nella nave che] tu costruirai
[porta] le bestie dei campi, gli uccelli del cielo
[ ] accumula
[ ] la famiglia
[ ]

Pur nella frammentarietà del reperto, ci sono tutti gli ingredienti tipici dei racconti sul Diluvio: la decisione dell'annientamento di ogni vita, la scelta di un superstite perché la vita possa ricominciare e le disposizioni per la costruzione dell'arca, alla quale, in questo frammento, viene dato un nome ben preciso.

 

 

Vediamo dunque più da vicino il racconto del Diluvio contenuto nell'Epopea di Gilgamesh e, come abbiamo fatto per il racconto biblico, proviamo a suggerire alcune chiavi di lettura.

Scarica qui il racconto del Diluvio in Gilgamesh
(Formato PDF 20 KB)

Già si è segnalata la differente causa che i racconti biblici suggeriscono quale responsabile della decisione di Dio di scatenare il Diluvio rispetto a quella presentata dalle parole di Ut-napištim a Gilgamesh: nella tradizione mesopotamica l'umanità non ha alcuna colpa morale, ma deve soccombere unicamente perché è troppo numerosa ed il suo frastuono disturba il sonno degli dei.
Facile, poi, dal punto di vista narrativo, per l'autore mesopotamico gestire il racconto identificando il dio buono che si prodiga in tutti i modi per salvare Ut-napištim (il dio Ea) ed il dio cattivo che invece vorrebbe lo sterminio totale (il dio Enlil); ben più complicata era la situazione per lo scrittore ebraico che doveva impostare il racconto costruendolo sulle basi di un monoteismo assoluto (ecco allora che in questa luce si può spiegare la descrizione biblica di Dio che "si addolorò in cuor suo" - Genesi 6,6 - e che rivela in sé quel conflitto tra amore e odio tipico del cuore dell'uomo).

Il racconto della costruzione dell'arca è molto dettagliato, più che nel racconto biblico; si vede inoltre come Ut-napištim non sia l'unico ad occupare la scena: accanto a lui vi è un intero popolo che fa domande, che vuole sapere i motivi di questa sua opera.
Di più: convinto dalle parole di Ut-napištim (suggeritegli dal dio), è il popolo stesso che edifica l'arca, che, inconsciamente, costruisce la possibilità di un futuro di vita.
Particolare non trascurabile è che sull'arca trovano posto non solo gli animali e la famiglia dell'eletto dagli dei, ma anche tutti gli artigiani.
L'umanità non ricomincia il suo cammino da zero. Non sono cancellate le conoscenze e le abilità acquisite dall'homo faber fino a quel punto del suo cammino!
Questo particolare dà un tocco di maggiore credibilità al racconto mesopotamico: come spiegare altrimenti una linea evolutiva che non ritorna a zero, ma viene solamente sospesa per la durata del Diluvio e poi continua la sua ascesa?
Nel poema di Gilgamesh l'umanità non ripiomba nel caos, ma dopo questa parentesi continua il suo cammino verso la meta, identificata nell'immortalità, nel diventare come dio.
Suggestiva anche la scansione temporale degli eventi nel ritmico avanzare a passi di sette giorni (sette giorni dura la costruzione dell'arca, sette giorni è la durata del Diluvio, sette giorni ancora la ritirata delle acque); impossibile non pensare al significato mitico e magico che tale numero doveva rivestire per le popolazioni mesopotamiche.
Il parallelo con i sette giorni del racconto della creazione nel libro della Genesi è immediato, come pure è immediato pensare all'uomo plasmato dalla polvere del suolo (Genesi 2,7) quando Ut-napištim dice a Gilgamesh che al termine del Diluvio l'intero genere umano era ritornato argilla.
Molto significativa anche la descrizione del terrore di tutti gli dei quando si scatena il Diluvio; tutti rannicchiati, pieni di paura, al riparo delle mura del dio Anu non hanno più alcuna parvenza divina.
E' da intendersi come una prima riflessione teologica sulla scelta fondamentale tra monoteismo e politeismo? Questo non sono in grado di provarlo, ma il sospetto è molto forte…

 

 

L'altro grande racconto mesopotamico riguardante il Diluvio è il Poema di Atra-hasis.
Atra-hasis è il grande saggio (questo è il significato del nome), l'uomo che ha con il suo dio Enki un rapporto privilegiato perché "lui poteva parlare con il suo dio e il suo dio poteva parlare con lui".
Grazie a questo rapporto di elezione potrà salvarsi dallo sterminio.
Il Poema di Atra-hasis non comprende solamente l'episodio del Diluvio, ma ha un respiro più ampio, raccontando anche l'epica della creazione del mondo.
Nella visione cosmologica dell'autore il cielo è governato da Anu, la terra da Enlil e le acque sono giurisdizione di Enki.
Il Pantheon non è limitato a questi tre dei, ma comprende una schiera di dei minori, ai quali è stato assegnato il compito di coltivare la terra e curare la sua irrigazione; compito gravoso, tanto che ben presto gli dei minori si stancano e chiedono che venga creato un sostituto, qualcuno che possa sollevarli dal loro pesante fardello.
Viene dunque creato l'uomo, modellato dalla dea Mami mescolando l'argilla con la saliva e con il sangue del dio We, un dio minore sacrificato proprio per questo fine.
Il seguito del racconto ricalca quanto già incontrato nella vicenda di Ut-napištim: il frastuono dell'umanità, diventata molto numerosa, disturba il sonno di Enlil, che decide di sterminarla.
Prima manda la pestilenza, dopo di questa la carestia, poi la siccità ed infine il diluvio; ma ogni volta Enki avvisa il suo protetto Atra-hasis affinché possa sopravvivere ad ogni disastro.
Sette giorni prima del diluvio lo invita a costruire una nave nella quale caricare gli animali e quanto possiede per scampare in tal modo all'ultima e più micidiale azione del dio Enlil.
Solo dopo che l'umanità è stata distrutta gli dei si rendono conto che hanno scioccamente eliminato la loro forza-lavoro e si pentono della loro decisione.

Scarica qui il racconto del Diluvio in Atra-hasis
(Formato PDF  20 KB)

La versione del Poema di cui disponiamo non è un corpus unico, ma è costituita da un insieme di tavolette provenienti da epoche diverse, fatto questo che testimonia la grande diffusione dell'opera tra la popolazione babilonese.
E' stato definito uno dei probabili musical dell'epoca, fatto questo testimoniato dalle ripetizioni nel testo, dai richiami continui, quasi fossero ritornelli o parti corali.
Del testo più importante (che è anche quello più antico) conosciamo non solo il nome dell'autore, ma anche la data precisa (giorno, mese e anno) nella quale le tre tavolette del poema vennero completate e addirittura, con precisione quasi maniacale, il numero complessivo delle linee di caratteri cuneiformi che erano state incise sulle otto colonne di ogni tavoletta.
L'autore è Nur-aya, il giovane scriba e la datazione della stesura del documento può essere fissata tra il 1636 e il 1635 a.C.

Molti sono i punti comuni con il racconto di Ut-napištim nell'epopea di Gilgamesh, e molti sono anche i formidabili richiami alla spiritualità tipica della Bibbia: il respiro da cui hanno tratto origine i racconti è lo stesso.
Evidente è nel Poema di Atra-hasis il tentativo di una riflessione teologica sulle vicende umane, il voler trovare una giustificazione a quanto l'umanità ha incontrato e incontra nel suo cammino e, ancora più in profondità, la certezza che nell'uomo ci deve essere qualcosa di altro dalla carne e dal sangue.
Nell'uomo è radicato anche l'ingrediente divino, simboleggiato dal sangue del dio We, che rende possibile non solo ad Atra-hasis di parlare a tu per tu con il suo dio, ma anche di potere sfuggire alla distruzione totale.
Il messaggio è chiaro: vi sarà sempre una parte di umanità che sopravviverà ad ogni Diluvio purché tenga ben saldi i rapporti con il suo lato divino e non ne perda la consapevolezza.
Troppo azzardato il parallelo con il dantesco "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza" che il poeta pone sulle labbra di un altro eroe-simbolo dell'umanità, Ulisse, alle soglie del Grande Viaggio? Può darsi, ma a me piace pensarla così.

 

 

Non ci resta che esaminare, a questo punto, anche la tradizione sumerica del Diluvio ed il suo eroe: Zi-u-sud-rà.
Il testo che possediamo è molto frammentario e, a differenza dei racconti analizzati finora, non si conoscono dei duplicati che possano consentire una lettura più omogenea.
E' redatto in sumerico e la datazione più attendibile colloca la sua stesura tra il XVIII e il XVII secolo a.C., epoca nella quale la lingua sumerica era stata soppiantata da altri idiomi e sopravviveva solamente nei documenti letterari.

Scarica qui il racconto del Diluvio sumerico
(Formato PDF 13 KB)

Nonostante le grandi lacune del racconto, non è difficilei vedere anche in questa narrazione l'ormai nota scansione temporale degli eventi: la decisione del dio (cattivo) di distruggere l'umanità cui si contrappone l'azione salvifica del dio (buono) a favore del suo eletto, la potenza devastante del Diluvio ed il ritorno del dio sulla terra ormai deserta, il sacrificio finale che il prescelto compie al dio per ringraziarlo dello scampato pericolo e, a conclusione del racconto, il premio dell'immortalità per il prescelto.
Nel racconto sumerico l'eroe si chiama Zi-u-sud-rà e viene presentato come re di Suruppak e sacerdote di vaticini; anche in questo racconto è la pietas dell'uomo che lo pone al sicuro sotto le ali del suo dio, che non esita persino ad andare contro il giuramento del silenzio fatto agli altri dei.
Come negli altri racconti mesopotamici vengono salvate unicamente le apparenze di tale giuramento e anche nel racconto sumerico il dio Enki utilizza l'infantile sotterfugio di rivolgersi ai muri della capanna di Zi-u-sud-rà perché anch'egli senta e si possa salvare.
A causa della frammentarietà del testo nulla possiamo sapere delle cause che hanno indotto gli dei a prendere la decisione di inviare il diluvio, come nulla conosciamo dell'arca, delle sue dimensioni e della sua forma, ma sono convinto che integrando idealmente questo racconto con gli altri racconti che abbiamo esaminato non ci allontaneremmo poi molto dalla narrazione originaria.
Credo sia perlomeno curioso il fatto che, in questa versione sumerica, il Diluvio colpisca anzitutto i luoghi di culto e da questi dilaghi poi in tutto il paese: dobbiamo leggere questo come l'indicazione che i luoghi di culto costituiscono l'essenza stessa del vivere civile (e dunque il crollo della società deve iniziare dalla loro distruzione) oppure come la registrazione di un repentino cambiamento nelle concezioni religiose con la conseguente necessità di fare piazza pulita delle manifestazioni religiose precedenti?

 

 

Home Page

Flood Page

Tutti i diritti commerciali sui testi resi disponibili online sono riservati.
Il loro download è libero e, di quelli da me prodotti,
ne autorizzo l'uso personale, didattico e di ricerca.
E'   in ogni caso gradita la segnalazione della fonte
ed una comunicazione del loro utilizzo.